mercoledì 22 dicembre 2010

Pdl, il ministro Prestigiacomo torna nel partito

Il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, dopo aver annunciato in lacrime lo strappo con il Pdl dopo che la maggioranza non ha appoggiato il rinvio della legge sulla libera imprenditorialità, torna nel partito guidato da Berlusconi. Queste le dichiarazioni quando a clado, diede le dimissioni dal partito. "Lascio il Pdl, vado nel gruppo misto". Per il momento però resta ancora nella squadra di governo: "Resto finché Berlusconi lo riterrà". Ad appoggiare la sua scelta c'è la collega ministro alle pari opportunità Mara Carfagna che fa sapere: "Sarebbe sbagliato sottovalutare l'accaduto: il disagio espresso da Stefania Prestigiacomo nei confronti di un partito nel quale, troppo spesso, si preferisce, per fretta o disattenzione, non prestare ascolto alle idee diverse, è molto diffuso".

martedì 21 dicembre 2010

Udc, Casini: "No ad elezioni anticipate"

Il leader dell'Udc Pierferdinando Casini ribadisce la contrarieta' dello scudocrociato alle elezioni anticipate, e fa sapere: ''Io non ho né aperto né chiuso a nessuno, sono una persona responsabile. Non e' nostro compito mettere il bastone tra le ruote dell'impegno del governo. La responsabilità di tutti gli italiani non vuole vedere il nostro paese in ginocchio di fronte alla speculazione internazionale".

domenica 19 dicembre 2010

E' morto l'ex ministro Tommaso Padoa Schioppa

ROMA. Il ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa. L'uomo 70 anni è deceduto a seguito di un infarto. Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano lo ricorda così. "Un grande servitore dello Stato e dell’interesse pubblico". È quanto scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato alla famiglia dell'ex ministro. "Partecipo con indicibile turbamento e tristezza al dolore dei famigliari e al più generale cordoglio - si legge - per l’improvvisa scomparsa. È stato un grande servitore dello Stato e dell’interesse pubblico, che nell’esercizio di tutte le alte funzioni cui è stato chiamato in Italia e in Europa ha lasciato l’impronta del suo eccezionale talento, della sua preziosa professionalità, della sua passione civile e della sua integrità personale. È stato tra coloro che hanno saputo tradurre l’ideale europeistico in analisi e progetti sapienti e concreti, dando in particolare un contributo incancellabile alla nascita dell’Euro e alla costruzione dell’Eurozona". "L’Italia - continua Napolitano - perde con Tommaso Padoa-Schioppa una personalità tra le più preparate, colte e fini su cui ha potuto contare negli ultimi decenni; che ho potuto anch’io conoscere e apprezzare sempre meglio stabilendo con lui un rapporto di profonda stima, vicinanza e fiducia".

sabato 18 dicembre 2010

Terzo Polo, Casini: "Noi la vera novità politica"

All'indomani della formazione del terzo Polo il leader dell'Udc Pierferdinando Casini sottolinea come l'obiettivo sia "un polo della nazione che pensa alla pacificazione nazionale. Basta risse, basta polemiche. Bisogna risolvere - ha proseguito - i problemi del Paese, a partire da una drammatica questione sociale che si sta aprendo. Per noi il tempo delle polemiche è finito. Tutti ci criticano, ma ben vengano anche le critiche. Si parla di noi, segno che siamo la vera novità politica. A noi interessa parlare dell'Italia e se possibile lanciare un messaggio di pacificazione nazionale. Abbiamo un'interlocuzione serena e tranquilla sia col Pdl che col Pd, ma riteniamo - ha concluso - che in Italia serva una nuova offerta politica, non serve ripercorrere strade già battute rivelatesi fallimentari, ma questo vale per le prossime elezioni".

Bossi: "No all'Udc nel governo"


A due giorni dalla risicata fiducia, continuano le polemiche della Lega verso la possibile apertura all'Udc di Casini. Il senatur Bossi fa sapere: "Se fossi Berlusconi starei attento a portare nel governo l'Udc. Per il governo igiene è andare al voto. Più si aspetta tempo, meno la gente capisce. Non vedo nuove alleanze che si stanno costruendo. Ce li siamo già trovati una volta al governo. Basta, non riuscivamo a fare niente. Il problema - ha sottolineato Bossi - è che se un governo resta in carica, rimane per fare i cambiamenti delle leggi''.


giovedì 16 dicembre 2010

Esame avvocato 2010: atto civile che circola in rete

TRIBUNALE DI ZETA



G.U. dott.--........................- udienza del ................
MEMORIA DIFENSIVA
Per il sig. Tizio, nato a ......................e residente in .............alla via ................rappresentato e difeso, giusta procura a margine del presente atto, dall'avv. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in _________________-alla via ________________________- indirizzo di p.e.c. al quale ricevere comunicazioni __________________________-- utenza telefonica fax ______________________----
Nel procedimento ex art. 700 c.p.c. instaurato da
La società Alfa, in persona del suo amministratore p.t., rappresentata e difesa dall'avv..............
PREMESSO CHE
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data _____________________-la società Alfa - sul presupposto che il socio sig. Tizio ha tenuto comportamenti contrari all'obbligo di fedeltà e che lo statuto sociale prevede espressamente l'esclusione del socio per giusta causa, nonché che tale situazione consiglia di non consentire l'accesso del socio ai documenti sociali - ha chiesto all'adito Tribunale in via di urgenza di a) pronunciare il provvedimento di esclusione del socio Tizio per giusta causa; b) pronunicare l'inibitoria a Tizio di dell'accesso ai documtnei sociali.
In tale sede si costituisceil sig. Tizio. rappresentato e difeso come in atti, la quale rileva inammissibili ed infondate le avverse richieste, sulla scorta delle seguenti
OSSERVAZIONI
1) SULLA INAMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA CAUTELARE DI ESCLUSIONE DEL SOCIO.
La ricorrente avanza due domande: i) la principale, volta ad ottenere la esclusione del socio per giusta causa, nonché ii) l'inibizione del diritto a prendere visione dei documenti sociali..
Entrambe le richieste sono inammissibili e, gradatamente, infondate.
Con riferimento alla domanda cautelare di esclusione del socio deve preliminarmente chiarirsi la natura della situazione soggettiva azionata. La statuto della società a responsabilità limitata può prevedere, ai sensi dell'art. 2473 bis c.c. l'esclusione del socio per giusta causa con indicazione di specifiche ipotesi. La norma medesima, tuttavia, non prevede una corrispondente azione della società, di modo che una giurisprudenza ha ritenuto di negare la tutela cautelare per difetto di una corrispondente azione di merito (nel senso della inammissibilità della azione diretta alla esclusione del socio si veda T. Biella 7.7.2006), atteso che il legislatore non ha inteso conferire all'Autorità Gidiziaria in così penetrante potere di ingerenza nella compagine sociale.
Sotto altro ed ulteriore profilo si consideri che il diritto della società a pronunciare la esclusione del socio ha la struttura di un diritto potestativo, il cui esercizio conduce allo scioglimento del vincolo.
La corrispondente azione giudiziale conduce, pertanto, ad una pronuncia di natura costitutiva. Ed infatti l'azione di merito preannunciata dalla ricorrente, ossia una pronuncia diretta ad escludere il socio, è una pronuncia di natura costitutiva (così espressamente qualificata dalla stessa società), la cui efficacia è subordinata al passaggio in giudicato della sentenza, e la giurisprudenza ritiene che le sentenze costitutive non siano suscettibili di tutela urgente per difetto di attualità del diritto cautelato (ex pluribus T. Verona, 18 marzo 2009; T. Torino, ordinanza 12 luglio 2003).
Ancora deve sottolinearsi come la ricorrente nemmeno abbia prospettato quale sia il pericolo che minaccia il cautelando diritto. Il socio Tizio non ha poteri di amministrare, essendo semplice socio di una società di capitali, e dunque non si comprende quale pregiudizio potrebbe arrecare alla società la permanenza del vincolo sociale per tutto il tempo necessario ad ottenere una pronuncia stabile.
2) SULLA INAMMISSIBILITÀ DELLA INIBITORIA CAUTELARE DELL'ACCESSO AI DOCUMENTI SOCIALI.
Del pari inammissibile è la domanda diretta ad ottenere una preventiva pronuncia sulla legittimità di un futuro rifiuto ad esibire i documenti sociali richiesti dall'odierno comparente.
Per vero non si comprende quale sia l'interesse posto a base della domanda cautelare, atteso che l'amministratore ben può negare l'esibizione della documentazione richiesta, salvo il diritto del socio di agire in sede giudiziaria per far sindacare la legittimità del rifiuto. Peraltro, proprio rispetto all'azione di accertamento negativo, qual è quella prospettata come azione di merito, 'interesse ad agire in sede giurisdizionale deve essere apprezzato con particolare rigore e nel caso di specie la società non ha in alcun modo specificato le ragioni della necessità di un intervento giudiziario.
Sotto ulteriore e diverso profilo la seconda domanda cautelare deve ritenersi inammissibile per difetto del periculum, atteso che la ricorrente è sufficientemente tutelata dalla possibilità di opporre un autonomo rifiuto alla esibizione.
Per tali ragioni, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale già emerso, deve ritenersi inammissibile l'azione diretta ad ottenere una pronuncia giudiziale che accerti la legittimità di una condotta sociale -il rifiuto di consegnare la documentazione - non ancora tenuta, così privando il socio Tizio del potere di farne sindacare la legittimità (T. Verona, ord. 18.3.2009).
*******
Tanto premesso,il sig. Tizio come in atti rappresentato e difeso,
CHIEDE
a) dichiararsi inammissibile il ricorso proposto per le ragioni di cui in atto;
b) rigettare comunque le avverse richieste
c) con vittoria di spese, diritti ed onoraria

Esame avvocato 2010: atto amministrativo che circola in rete

Ecc.mo Tribunale Amministrativo per .....
ricorre il sig. Caio, proprietario di un appartamento sito nel Comune di Gamma, rappresentato e difeso dall' avv. con studio sito in come da mandato in calce del presente atto di ricorso.

Contro: Comune di Gamma, in persona del Sindaco pro tempore, in particolare del provvedimento n° 1172004 di diniego e revoca della concessione in sanatoria n° 1072004,

nonchè. condomini Tizio e Sempronio, controinteressati formali all'instaurazione del Giudizio, per l'annullamento previa sospensione degli effetti del provvedimento n° 11/2004 emanato dal Comune di Gamma.

Fatto: in data 1986 il sig. Caio chiedeva al Comune di Gamma rilascio concessione in sanatoria per il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile da lavatoio ad abitazione.
Il Comune con provvedimento di accoglimento n° 10/2004 concedeva in favore di Caio la possibilità di eseguire i relativi lavori.
Con successivo provvedimento n° 11/2004 il Comune annullava il precedente disposto, e negava la concessione in sanatoria a Caio.
Intervenivano in qualità di condomini Tizio e Sempronio, a loro volta interessati affinchè non venisse disposta la concessione in favore di Caio.

Diritto: in via preliminare va affrontata la posizione dei condomini Tizio e Sempronio se possa sussistere un loro interesse concreto ad intervenire.
giurisprudenza consolidata (cons. di Stato 7495/2009 iv sez.)
ha differito la figura di controinteressati al procedimenti in formale e sostanziale.
Nel primo caso Tizio e Sempronio possono intervenire nel procedimento in quanto il loro rapporto di vicinitas permette di agire ad opponendum nei confronti del ricorrente, nel secondo caso essi non possono pretendere alcunchè da Caio in quanto non legittimati ad assumere diritti soggettivi od interessi legittimi in quanto il loro intervento è stato palesemente tardivo rispetto alla domanda di concessione avvenuta nel 1986.
Ne deriva che essi potranno agire in separata sede nei confronti del comune di Gamma il quale rappresenta il legittimato passivo dei controinteressati.
II�° punto: silenzio assenso
Nel caso di specie non è applicabile il silenzio assenso in qunto la domanda di Caio è stata proposta nel 1986, prima delal l.241/1990, pertanto non può riscontarsi alcun comportamento concludente della P.a procedente, semmai ci si deve riferire al provvedimento di accoglimento n�°10/2004 il quale ha positivamente valutato tutti gli elementi della domanda di Caio.
III�° punto: violazione art. 3 L.241/1990,
il successivo provvedimento di revoca e contemporaneo diniego della concessione n�° 11/2004 viola il principio di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A. atteso che non motiva in alcun modo il ripensamento del Comune di gamma circa il ritiro del provvedimento di concessione emanato in precedenza ed il relativo diniego.
L'art. contemplato, in base agli art. 97- 98 Carta Costituzionale stabilisce che ogni atto della P.a. deve essere motivato congruamente e succintamente spiegando le ragioni posti alla base della decisione dell'Ente pubblico procedente.

Ne discende un pregiudizio concreto per Caio atteso che in precedenza il Comune aveva valutato positivamente l'istanza e successivamente in modo inspiegabile ne aveva revocato la concessione.
Per i motivi riportati innanzi Caio chiede all'On.le Tar adito l'annullamento, previa sospensione degli effetti del provvedimento impugnato n°11/2004, al contempo che il consesso amm.vo ordini l'attuazione dell'efficacia della concessione in sanatoria, così come prevista dal provvedimento n° 10/2004, con valutazione dei relativi danni cagionati dall'ingiustificato diniego e revoca successiva della P.a. procedente, con vittoria di diritti e spese di Giudizio.

Esame avvocato 2010: atto penale quasi completo

CORTE D'APPELLO DI .............


ATTO D'APPELLO

L'Avv.............. .., del foro di ............., con studio in ............., via ..............., difensore di fiducia, giusta nomina in atti, del sig. Tizio, nato a ............., il â.............., residente in â............,via ....., domiciliato, ai fini del presente procedimento..................., in via ....,

DICHIARA DI PROPORRE APPELLO

Avverso la sentenza n. (R.G. n. ............) del Tribunale di ....., pronunciata in data ....... e depositata in data ........................, con la quale il sig. Tizio veniva dichiarato responsabile dei reati di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 628 c.p. aggravato ex art.339 c.p. e, per l'effetto, condannato alla pena di......................,

PER I SEGUENTI MOTIVI
IN VIA PRINCIPALE E GRADATA
a) Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.
b) Il Giudice avrebbe dovuto concedere le attenuanti di cui all'art. ___ (oppure avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle attenuanti di cui all'art. ___, o, ancora, avrebbe dovuto esperire il giudizio di bilanciamento delle attenuanti ex art. 69 c.p.). In ogni caso avrebbe dovuto irrogare una pena diversa, contenendola entro il limite di ___.(formula sempre utilizzabile, inestremo subordine, ove il giudice abbia irrogato una sanzione diversa dal minimo edittale, con un diverso giudizio di valutazione da esperirsi ex art. 133 c.p.)
L'articolo 56 c.p. offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi: 1) quando l'azione non si compie (c.d. tentativo non compiuto); 2) quando l'evento non si verifica (ed tentativo compiuto).
L'articolo 56 c.p., disciplina il tentativo nei delitti e, essendo una fattispecie autonoma rispetto al reato consumato (ex plurimis Cass. 13/6/2001 riv 220330), richiede, come tutti i reati, la sussistenza sia dell'elemento soggettivo che oggettivo.
L'elemento soggettivo e' identico al dolo del reato che il soggetto agente si propone di compiere.
L'elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarita' in quanto ruota intorno a tre concetti:
- l'idoneita' degli atti;
- l'univocita' degli atti;
- il mancato compimento dell'azione o il mancato verificarsi dell'evento.
La linea di demarcazione fra la semplice intenzione non punibile (secondo il vecchio brocardo cogitationis poenam nemo patitur) e quella punibile si snoda proprio attraverso l'esatta comprensione dei suddetti principi.
Una premessa di natura sistematica: sebbene l'articolo 56 c.p. sia l'unica norma che disciplini espressamente il tentativo, tuttavia, utili argomenti si possono trarre, ai fini sistematici, anche dall'articolo 115 c.p. a norma del quale "qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di essa e' punibile per il solo fatto dell'accordo".
La suddetta norma, evidenzia, quindi, in modo plastico, il principio secondo il quale anche un semplice accordo a commettere un delitto (e, quindi, a fortiori, il semplice averlo pensato) non e' punibile (salva l'applicazione della misura di sicurezza) ponendosi all'estremo opposto del delitto consumato.
Ma e' proprio fra questi due estremi, ossia fra la semplice cogitatio o accordo (non punibile) ed il delitto consumato che si colloca la problematica del delitto tentato che consiste, appunto, nello stabilire quando un'azione, avendo superato la soglia della mera cogitatio, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, dev'essere ugualmente punibile.
C0ntroversa e' la nozione di univocita' degli atti. Secondo una prima tesi "anche gli atti preparatori possono configurare l'ipotesi del tentativo, allorquando essi rivelino, sulla base di una valutazione ex ante e indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei, l'adeguatezza causale nella sequenza operativa che conduce alla consumazione del delitto e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto, dimostrando contemporaneamente, per la loro essenza ed il contesto nel quale s'inseriscono, l'intenzione dell'agente di commettere il delitto": Cass. 27323/2008 riv. 240736 - Cass. 43255/2009 Rv. 245720 "L'atto preparatorio puo' integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacita', sulla base di una valutazione "ex ante" e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto" - Cass. 40702/2009 Rv. 245123.
Mentre per la tesi soggettiva, l'univocita' va valutata sulla base delle circostanze concrete (con la conseguenza che si determina, sul piano della repressione penale, un arretramento della soglia di punibilita', in quanto anche gli atti in se' preparatori, possono, a determinate condizioni, essere considerati univoci), al contrario per la tesi oggettiva, l'univocita' coincide con l'inizio degli atti tipici di un determinato reato (con conseguente spostamento in avanti della soglia di punibilita', escludendosi l'univocita' degli atti meramente preparatori).

Ed ulteriore conferma puo' trarsi dall'articolo 49 c.p., comma 2 (che rappresenta, per cosi' dire, il lato speculare e contrario dell'articolo 56 c.p.) che esclude la punibilita' per "l'inidoneita' dell'azione" non degli atti esecutivi: il che significa che, per stabilire se ci si trova di fronte ad un tentativo punibile, a parte l'ipotesi del compimento degli atti esecutivi veri e propri (ipotesi considerata espressamente, come si e' detto, dall'articolo 56 c.p., comma 1 ultima parte), occorre aver riguardo piu' che all'idoneita' dei singoli atti, all'idoneita' dell'azione valutata nel suo complesso cosi' come appare cristallizzata in un determinato momento storico, tenuto conto di tutti gli elementi esterni ed interni, conosciuti e conoscibili. Solo se l'azione viene valutata unitariamente, puo' aversi un quadro d'insieme dei singoli atti che, se valutati singolarmente, possono anche sembrare in se' inidonei, ma che se inseriti in un piu' ampio contesto, appaiono per quelli che sono, ossia dei singoli anelli di una piu' complessa ed unica catena, l'uno funzionale all'altro per il compimento dell'azione finale destinata a sfociare nella consumazione del delitto programmato.

Si deve, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo - di tempo - di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto e che il medesimo sara' commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualita', dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volonta' del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (articolo 56 c.p., comma 3) o il recesso attivo (articolo 56 c.p., comma 4)".
Inoltre quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta altri "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi.
Gli elementi indicati dal Giudice di prime cure non possono, nel loro complesso, costituire gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina perchè sussiste una totale indeterminatezza circa l'obiettivo della supposta rapina. Quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta tre "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi. L'ora in cui i due furono fermati, le 7,30 (ben prima che uno qualsiasi dei tre locali aprisse), aggiunge ulteriore indeterminatezza al quadro indiziario non potendo nessuno degli elementi raccolti considerarsi allo stato come diretto in modo non equivoco a commettere una rapina in un luogo che è rimasto non identificato, neppure in via ipotetica. La direzione teleologica della volontà dell'agente non risulta assolutamente ricostruibile alla luce degli elementi prima ricordati (cfr. Cass. n. 7702/2007).

Sulla base dei motivi ora svolti, si chiede che l'Ill.mo Giudice adito, in riforma dell'impugnata sentenza, voglia: (SCEGLIERE QUELLO + ADATTO)
1) annullare il provvedimento oggetto di appello in quanto .......................
2) assolvere l'imputato in quanto .....................
3) dichiarare di non doversi procedere in quanto .............................
4) dichiarare la non punibilità dell'imputato in quanto .........................
5) applicare la diversa pena della .................................
6) contenere la pena irrogata nel limite di .............................
7) concedere il beneficio della ........................
(luogo e data) Avv. (firma)
RICHIESTE
Per i suindicati motivi, si chiede:
IN VIA PRINCIPALE, che L'Ecc.ma Corte assolva l'appellante dal reato. ex art. 56 e 628, co. 3 lett. 1), cp. perché il fatto non sussiste.
IN SUBORDINE, si chiede che l'Ecc.ma Corte ridetermini la pena, previa concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante.
Altri motivi deducendi.
Con Osservanza

PROCURA Il sottoscritto TIZIO, nato a ___, il ___, residente in ___, Via ___, imputato nel procedimento penale n. ___/__ R.G. N.R., nomina quale proprio difensore in ordine allo stesso procedimento l'Avv. ___, del Foro di ___, con studio in ___, Via ___, conferendo allo stesso ogni più ampia procura e facoltà concessa dalla legge, ivi compresa quella di nominare sostituti processuali, proporre impugnazioni e rinunciare alle stesse. Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste dagli artt. 7 e 13 del D.Lgv. 30 giugno 2003, n. 196 e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito.
(luogo e data)â��TIZIO (firma)â��La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenzaâ��Avv. (firma)â��________________________________________________________

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Per tutti questi motivi

CHIEDE

Che questa Ill.ma Corte d'Appello Voglia, in riforma dell'impugnata sentenza

Esame avvocato 2010: spunti atto civile

ECCO LO SCHEMA DA SEGUIRE PER REDIGERE AL MEGLIO L'ATTO DI CIVILE
L'atto va impostato così.
Comparsa di costituzione e risposta
etc.....
1. Si racconta il fatto;
2. si costituisce nel presente giudizio il sig..........contestando inf atto e diritto tutto quanto ex adverso esposto e dedotto e rilevando quanto segue
.3. INammissibilità della domanda di esclusione
Spiegare il perchè in base alla sentenza del Trib,. Biella
In sostanza il potere di escludere il socio non spetta agli organi sociali
Argomentare ex art. 2473 bis
4. Insussistenza dei presuposti ex art. 700 c.p.c.
- non c'è periculum perchè nessun danno deriva alla società dalla permanenza del socio che non svolge funzioni di amminstratore;
- non c'è fumus perchè la domanda è in ogni caso inammissibile;
- in ogni caso vi è difeto di interesse ad agire per le medesime ragioni che escludono il periculum
5. Inammissiblità della domanda di inibizione dell'accesso ai documento sociali
Non si può limitare il diritto del socio non amministratore di prendere visione dei documenti e dei libri della società e ciò anche al fine di esercitare il dovuto controllo sull'attività amminsitrativa della società
Sul punto vedi Rrib. Bologna 6 dicembre 2006
"Il socio non amministratore di società a responsabilità limitata al quale sia precluso dagli amministratori l'esercizio del diritto di controllo mediante l' accesso ai documenti relativi all'amministrazione può ottenere dal giudice provvedimento cautelare che autorizzi l' accesso diretto o tramite professionista di propria fiducia a tutti i libri sociali incluse le scritture contabili. Il diritto di controllo del socio non amministratore, equiparabile in base al disposto dell'art. 2476 c.c. a quello del socio di società di persone, soddisfa l'esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale altresì all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio . Il tribunale che sia adito in via cautelare può integrare la misura cautelare originariamente disposta precisando le modalità di consultazione delle scritture contabili senza che possa opporsi da parte degli amministratori il diritto alla riservatezza dei dati commerciali della società."
6. Ulteriore Inammissibilità della domanda
- il 700 è inammissibile perchè diretto ad ottenere una pronuncia costituiva mentre la tutela d'urgenza presuppone la esistenza del diritto di cui si chiede la tutela
PQM
il sig. .....chiede che il Tribunale voglia
- in via preliminare, dichiarare inammissibli la domadna non sussistendo i presupposti del periculum e del fumus;
- nel merito respingeresi le domande;
- in ogni caso vittoria di spese ed onorari
data
FIRMA

Esame avvocato 2010: spunti atto amministrativo

Cons. Stato Sez. IV Sent., 30.11.2009 n° 7495
EDILIZIA E URBANISTICA - GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - I proprietari di immobili in un condominio si trovano, rispetto al diniego di condono riguardante una porzione di immobile di proprietà di altro condomino, e da essi rivendicata come appartenente al condominio, in una indubbia posizione di controinteressati, in fatto, in forza dell'elemento della "vicinitas", che, così come vale a conferire la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia rilasciata ad un soggetto terzo, conferisce loro la possibilità di agire "ad opponendum" nel giudizio promosso per l'annullamento del diniego di concessione edilizia riguardante una porzione del condominio, in virtù del solo vantaggio meramente consequenziale o del beneficio di mero fatto, che l'atto sia suscettibile di recare al loro patrimonio giuridico; essi, però, non si trovano nella posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale. (Riforma parziale della sentenza del T.A.R. Puglia n. 03214/2005).
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1) Con atto notificato l'11 marzo 2005, depositato il successivo 23 marzo e rubricato al n. R.G. 460/2005 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari, l'odierno appellato, titolare dell'impresa di costruzioni "Petruzzella Mario e Magarelli Saverio" (che nell'anno 1979 aveva edificato il fabbricato sito in Comune di Terlizzi alla via Trieste n. 6 in forza di licenza di costruzione n. 58/76 rilasciata in data 19 agosto 1978 e successive varianti del 9 novembre 1978 e 26 novembre 1979), impugnava il provvedimento prot. n. 21124/86 in data 11 novembre 2002, con il quale il Comune di Terlizzi negava, ai sensi dell'art. 2 comma 37 lettera d) L. n. 662/96, la sanatoria edilizia richiesta da Petruzzella Mario (deceduto nell'anno 1987) relativa al cambio di destinazione d'uso, da bucataio ad abitazione, dei locali siti sul soprattico al IV piano di detto fabbricato, di cui l'appellato medesimo veniva nella domanda di condono indicato come comproprietario.
2) Alla Camera di Consiglio del 21 aprile 2005, fissata per la pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, il T.A.R., ravvisata la sussistenza dei presupposti per l'emanazione della sentenza in forma semplificata, definiva il giudizio, ai sensi degli articoli 21 comma 9 e 26 comma 4 della L. n. 1034/1971, come modificata dalla L. 205/2000.
3) Ciò in quanto il ricorrente, alla medesima Camera di Consiglio, aveva depositato nota prot. 7181 dell'11 aprile 2005 a firma del Dirigente del Settore Pianificazione Territoriale ed OO.PP. del Comune di Terlizzi, in cui si dichiara espressamente che:
- sulla domanda di sanatoria, ai sensi della L. 47/85 inoltrata dal sig. Petruzzella Mauro in data 30 settembre 1986 prot. 21124 si è formato il silenzio assenso in data 30 giugno 1989 e che a far data dal 30 giugno 1990 si è prescritto il diritto al conguaglio dell'oblazione;
- il provvedimento di diffida del 4 maggio 2000 notificato alla sig.ra Gargano Rosa in data 9 maggio 2000 ed il provvedimento di diniego dell'11 novembre 2002, notificato alla sig.ra Gargano Rosa in data 13 novembre 2002 devono essere annullati in quanto illegittimi;
- dovrà essere emessa ordinanza di ripristino a carico del sig. Magarelli Saverio, quale legittimo proprietario per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione in assenza di D.I.A., giusto quanto stabilito dall'art. 33 comma 6 bis del D.P.R. 380/2001.
Avendo, dunque, "il difensore del ricorrente... dichiarato di non avere più interesse a coltivare il ricorso" (pagg. 5 - 6 sent.), il T.A.R., con sentenza 13 maggio 2005, n. 2157, dava atto della sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, assumendo le conseguenti determinazioni in ordine alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso.
4) Nello stesso giudizio erano nel frattempo intervenuti "ad opponendum", con atto notificato il 26 aprile 2005 e depositato il successivo 5 maggio (pertanto dopo lo svolgimento della Camera di Consiglio, alla quale la causa era passata in decisione) gli odierni appellanti (nella loro qualità di condomini del citato edificio residenziale), notificando poi e depositando in data 14 maggio 2005 (e dunque successivamente alla pubblicazione della sentenza che definiva il giudizio) richiesta di remissione sul ruolo della causa, che il T.A.R., con successiva sentenza n. 3214/2005, dichiarava inammissibile, condannando gli istanti alla rifusione delle spese nei confronti sia dell'originario ricorrente che del Comune non costituito. Avverso le due citate sentenze, rese dal Giudice di primo grado nello stesso giudizio innanzi allo stesso rubricato col n. R.G. 460 del 2005, è diretto l'appello all'esame, con il quale viene, quanto alla prima, dedotto a motivo di doglianza "il fatto che il ricorso n. 460/2005 non veniva notificato agli odierni appellanti, pur rivestendo essi l'innegabile posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale" (pag. 8 app.), e, quanto alla seconda, lamentata l'erroneità ed abnormità della condanna alle spese in essa contenuta. Si è costituito in giudizio il controinteressato, originario ricorrente, contestando, con successiva memoria, "la qualità di controinteressati degli odierni appellanti e quindi la sussistenza della legittimazione ad appellare unitamente ad un interesse concreto ed attuale ad interporre il gravame avverso le predette decisioni". Non si è costituito in giudizio, sebbene ritualmente evocato, il Comune di Terlizzi. Con Ordinanza n. 5600/2005, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 18 novembre 2005, è stata respinta la domanda di sospensione dell'esecuzione delle sentenze appellate. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 13 ottobre 2009.
5) L'appello, per la parte in cui è rivolto avverso la citata sentenza n. 3214/2005 che ha provveduto a definire il giudizio (peraltro con una sentenza in rito di declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse, l'interesse alla cui impugnazione, semplicemente per veder affermato l'assenza del necessario contraddittorio tra le parti necessarie del processo, appare invero assai labile) a contraddittorio asseritamente incompleto, è da respingere in quanto infondato.
I condomini odierni appellanti si trovano invero, rispetto al diniego di condono oggetto del giudizio (riguardante una porzione dell'immobile di proprietà del controinteressato e da essi peraltro rivendicata come appartenente al condominio), in una indubbia posizione di controinteressati in fatto in forza dell'elemento della "vicinitas", che, così come vale "in re ipsa" a conferire la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia rilasciata ad un soggetto terzo (risultando la posizione del vicino "ex se" differenziata rispetto a quella della collettività genericamente intesa: Cons. Stato - sez. V - 3 febbraio 2000, n. 592; Cons. Stato - sez. V -11 aprile 1995, n. 587; Cons.Stato - sez. V - 16 aprile 1982, n. 277), conferisce loro la possibilità di agire "ad opponendum" (ed è altresì diritto vivente il riconoscimento della legittimazione a partecipare al giudizio in appello - sia nella qualità di ricorrente principale che di interveniente - a soggetti che, pur non essendo parti necessarie o intervenuti "ad opponendum" nel giudizio di primo grado, rivestono la qualità di legittimi contraddittori, perché titolari di una situazione soggettiva rilevante, caratterizzata da un interesse sostanziale di segno opposto a quello fatto valere con il ricorso originario, sulla quale si riflette la pronunzia di primo grado: cfr. Sez. IV, n. 6848 del 20 dicembre 2000 e, da ultimo, Sez. VI, n. 5834 del 2008) nel giudizio promosso per l'annullamento di un diniego di concessione edilizia riguardante una porzione del condominio, in virtù del solo vantaggio meramente consequenziale o del beneficio di mero fatto, che l'atto sia suscettibile di recare al loro patrimonio giuridico; ma non si trovano nella posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale, che, così come è stata definita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, è quella di un soggetto titolare di un interesse che sia sì qualificato ed opposto a quello di altro soggetto (e che, in quanto qualificato, deve trarre un vantaggio giuridicamente rilevante dal provvedimento, la cui legittimità venga posta in discussione davanti al giudice amministrativo), ma che sia altresì idoneo ad integrare gli estremi di una posizione giuridica implicitamente contemplata dall'atto impugnato, con la previsione espressa di un beneficio in suo favore: requisito, quest'ultimo, del tutto assente nel provvedimento oggetto del giudizio, di definizione di un procedimento di condono, cui gli odierni appellanti sono rimasti del tutto estranei, a nulla rilevando in proposito né il contenzioso civilistico solo successivamente ad esso instaurato (relativo peraltro non alle opere oggetto di condono, ma alla sola rivendica di proprietà della porzione di immobile, in cui esse sono state eseguite), né la loro posizione di interessati nel pure successivo procedimento instaurato dal Comune per il ripristino dei luoghi a séguito del contestato diniego della domanda di sanatoria. I citati soggetti, quindi, non rivestono nel presente giudizio la qualifica di controinteressati in senso formale e ad essi non andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso originario a mente dell'art. 21 della legge n. 1034/1971 e dell'art. 36 del T.U. n. 1054/1924, il cui scopo è in realtà quello di non rendere assolutamente gravosa la tutela giurisdizionale, costringendo i ricorrenti alla ricerca di soggetti non agevolmente individuabili (Cons. Stato, V, 17 dicembre 1998, n. 1806). Riguardo, poi, alla pronuncia di improcedibilità resa dal T.A.R. sul ricorso stesso (sulla base della dichiarazione resa dal difensore del ricorrente in Camera di Consiglio, pacificamente idonea a determinare la conseguenza di ordine processuale trattane dal Giudice di prime cure, che è manifestazione del principio di unilateralità, che regge il processo amministrativo, posto a tutela delle posizioni soggettive appartenenti a colui che ha introdotto il giudizio, rispetto alle quali gli interessi della parte resistente assumono rilevanza solo in funzione di contrasto della pretesa azionata), i ricorrenti non hanno esplicitato alcuna doglianza, risultando peraltro inammissibili le molteplici contestazioni al merito delle deduzioni col ricorso di primo grado fatte valere, da intendersi assorbito dalla pronuncia in rito. Il gravame è dunque, quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005, da respingere. Con riferimento, invece, alla successiva sentenza, resa nello stesso giudizio, n. 3214/2005, con la quale il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l'istanza di rimessione sul ruolo della causa proposta dagli odierni appellanti, premesso che non viene in alcun modo posta in dubbio dagli stessi la presenza in detta istanza dei presupposti richiesti dall'art. 91 c.p.c. (che fanno riferimento, per una pronuncia di condanna sulle spese, ad un procedimento contenzioso idoneo a determinare una posizione di soccombenza), l'appello è manifestamente infondato quanto alla contestazione della condanna alle spese processuali in favore dell'originario ricorrente, in quanto, com'è noto, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. Civ., sez. III, 11 gennaio 2008, n. 406); sennonché nella fattispecie l'esito del procedimento innestato dalla richiesta in primo grado presentata dagli intervenienti ha visto gli stessi totalmente soccombenti (sì che non risulta violato il principio, secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa), mentre è poi inammissibile la generica denuncia della esorbitanza della condanna alle spese in favore del ricorrente in primo grado, atteso che gli appellanti non hanno specificato gli errori commessi dal primo Giudice, né precisato le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore, che si ritengono violate (Cass. civ., Sez. 1^, 23 settembre 2003, n. 14110). L'appello va invece accolto quanto alla contestazione della condanna alle spese del Giudizio nei confronti del Comune recata dalla citata seconda sentenza, non avendo questo svolto alcuna attività difensiva, con conseguente insussistenza del presupposto, per cui solo la parte, che abbia partecipato al giudizio e perciò sostenuto spese, può poi vedersele rifuse se ed in quanto vittoriosa all'esito della definizione del giudizio.
6) In definitiva, l'appello va respinto "in toto" quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005 ed accolto in parte, nei sensi di cui sopra, quanto all'impugnazione della sentenza n. 3214/2005.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:
- lo respinge quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005;
- lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, quanto all'impugnazione della sentenza n. 3214/2005.
Spese del grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 13 ottobre 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:
Luigi Cossu, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere
Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Esame avvocato 2010: spunti atto penale

Questa sentenza può essere presa come riferimento
Autorità: Cassazione penale sez. II
Data udienza: 04 marzo 2010
Numero: n. 18196

Classificazione
RAPINA In genere


Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antoni - Presidente -
Dott. GENTILE Domenico - Consigliere -
Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avv.to Antoci Giorgio nell'interesse di D.G.M. nato a
(OMISSIS);
avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catania in data
12.10.2009;
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Bronzini
Giuseppe.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Enrico
Delehaye il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio.
osserva:

(Torna su ) Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ordinanza del 28.9.2009 il GIP di Catania applicava nei confronti di P.G. e di G.M. la misura cautelare della custodia in carcere ritenendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa i reati di tentata rapina e ricettazione.
Alle ore 7,35 i due indagati venivano notati dai C. C. di Castel di Iudica stazionare nelle vicinanze di un motorino infangato lungo la via (OMISSIS) sulla quale insistono un gioielleria, una filiale del Banco di Sicilia e l'Ufficio delle Poste. I due giovani indossavano un berretto di lana senza visiera e l'altro un berretto con visiera.
I due fornivano vaghe informazioni sulle ragioni della loro presenza in loco, il motorino risultava rubato e addosso al P. veniva trovata una pistola scacciacani priva di tappo rosso e due sacchetti di plastica per la spesa.
Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame ritenendo tali elementi costituissero gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina nei confronti di uno dei possibili obiettivi posti sulla via (OMISSIS) e in ordine al reato di ricettazione, posto che i due avevano una pistola scacciacani, berretti per mascherarsi il viso, due sacchetti ove riporre la refurtiva ed un motorino rubato per scappare e non avevano dato credibili spiegazioni per trovarsi sul luogo.
Ricorre l'imputato che con il primo motivo allega che la misura cautelare era stata dal PM richiesta solo per la tentata rapina, ma non per il reato di ricettazione.
Allega altresì che gli elementi indicati nell'ordinanza non potevano costituire gravi indizi di colpevolezza per il reato per cui si indagava.
Con il terzo motivo si deduce che, vista l'ora del controllo, le ore 7,30 gli eventuali atti preparatori non erano ancora passati alla fase esecutiva. Si poteva trattare, al più, di atti meramente preparatori dalla direzione equivoca e comunque privi del requisito dell'idoneità.
(Torna su ) Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo non può essere accolto; il Tribunale ha già spiegato come la richiesta del PM, pur parlando di "reato" contenga espliciti riferimenti ad entrambi i reati sicchè si deve considerare un mero refuso tale omissione, stante il tenore complessivo della richiesta. La richiesta del PM peraltro non è stata neppure prodotta.
Fondati sono invece gli altri due motivi che vanno trattati congiuntamente: gli elementi indicati nell'ordinanza non possono, nel loro complesso, costituire gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina perchè sussiste una totale indeterminatezza circa l'obiettivo della supposta rapina. Quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta tre "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi. L'ora in cui i due furono fermati, le 7,30 (ben prima che uno qualsiasi dei tre locali aprisse), aggiunge ulteriore indeterminatezza al quadro indiziario non potendo nessuno degli elementi raccolti considerarsi allo stato come diretto in modo non equivoco a commettere una rapina in un luogo che è rimasto non identificato, neppure in via ipotetica. La direzione teleologica della volontà dell'agente non risulta assolutamente ricostruibile alla luce degli elementi prima ricordati (cfr. Cass. n. 7702/2007).
Si impone, invece, una nuova valutazione delle esigenze cautelari per quanto riguarda il residuo reato di ricettazione.
Si deve quindi annullare l'ordinanza impugnata limitatamente al delitto di tentata rapina e con rinvio, limitatamente alla esigenze cautelari in ordine al delitto di ricettazione disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Catania per nuovo esame sul punto. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
Annulli, l'ordinanza impugnata limitatamente al delitto di tentata rapina e con rinvio, limitatamente alla esigenze cautelari in ordine al delitto di ricettazione, disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Catania per nuovo esame sul punto. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010
(Torna su ) Correlazioni
Legislazione correlata:
Codice Penale art. 56
Codice Penale art. 628

Esame avvocato 2010: traccia atto amministraivo

TRACCIA AMMINISTRATIVO
Atto giudiziario Diritto Amministrativo Caio, proprietario di un appartamento sito in uno stabile nel comune di Gamma, presenta in data 30 ottobre 1986 domanda di rilascio di concessione edilizia in sanatoria in relazione all'avvenuto cambio di destinazione di uso, da lavatoio ad abitazione, dei locali posti al soprastante il IV piano del fabbricato, affermando di esserne comproprietario. Il comune di Gamma, con determinazione dirigenziale n ° 10/2004, fondata
sul presupposto della intervenuta formazione sulla domanda di condono, del
silenzio-assenzo a norma dell'art. 35 della legge n ° 47/85, rilasciava provvedimento
di concessione in sanatoria. Con successiva determinazione dirigenziale n ° 11/2004 irrogava altresì a Caio una sanzione pecuniaria di euro 516,00 per i lavori eseguiti comunque
abusivamente nei locali sopra citati. I condomini del fabbricato in questione Tizio e Sempronio, lamentando la violazione del loro diritto di comproprietari del locale lavanderia, impugnavano i citati provvedimenti, notificando il ricorso a Caio quale contro interessato. Il candidato, assunte le vesti del legale di Caio, rediga l'atto ritenuto più idoneo alla tutela delle ragioni del proprio assistito, illustrando gli istituti e le problematiche (sottesi?) alla fattispecie in esame

Esame avvocato 2010: traccia atto civile

TRACCIA CIVILE

Il socio tizio di srl ha tenuto secondo l'amministratore della medesima società, un comportamento infedele che giustifica l'attivazione della procedura di esclusione del socio per giusta causa prevista dalle norme statutarie. Inoltre, proprio in considerazione della suddetta situazione la soc alfa, a mezzo del suo amministratore, perviene alla determinazione di opporre il proprio rifiuto alla richiesta del socio tizio formulata a mezzo lett racc, di accedere ad alcuni documenti sociali.
La soc alfa, pertanto, tenuto conto delle circostanze sopra precisate, introduce dinanzi al tribunale di zeta una domanda cautelare, ai sensi dell'art 700 cpc, con la quale chiede:
a) una pronuncia in via d'urgenza dell'esclusione del socio tizio dalla società
b) una pronuncia diretta ad inibire al socio tizio l'accesso ai documenti
sociali. Nel contesto del ricorso la società alfa, a mezzo del suo amministratore, precisa che la domanda di merito avrà ad oggetto un'azione di cognizione diretta una pronuncia costitutiva dichiarativa che escluda per giusta causa il socio tizio dalla suddetta società, nonchè una pronuncia di accertamento della legittimità del rifiuto opposto dall'amministratore alla consegna dei documenti.
Il candidato assunte le vesti del legale di tizio rediga una memoria di costituzione nell'instaurato procedimento cautelare dinanzi al tribunale di zeta nella quale vengano specificamente analizzati i profili di ammissibilità della domanda cautelare proposta

Esame avvocato 2010: traccia atto penale

TRACCIA PENALE

TIZIO E CAIO VENGONO TRATTI IN ARRESTO PERCHÉ SORPRESI, CON 2 PISTOLE
ALL'INTERNO DI UN'AUTOMOBILE PARCHEGGIATA A CENTO METRI DALL'INGRESSO DELLA BANCA ALFA. LE PISTOLE, ARMI COMUNE DA SPARO, CON KE RELATIVE MUNIZIONI, NON SONO PRONTE PER LO SPARO. NELL'ATTO VIENE ALTRESÌ RINVENUTO E SEQUESTRATO UN CAPPELLO DI LANA ASTRATTAMENTE IDONEO AL NASCONDIMENTO DEL VOLTO. ALL'ESITO DEL GIUDIZIO IMMEDIATO TIZIO E CAIO VENGONO CONDANNATI PER IL REATO DI TENTATA RAPINA AI DANNI DELLA BANCA ALFA, CON LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI DALL'USO DI ARMI E DELLA RIUNIONE DI PIÙ PIÙ PERSONE. ASSUNTA LA VESTE DI DIFENSORE DI TIZIO IL CANDIDATO REDIGA MOTIVATO ATTO DI APPELLO.

mercoledì 15 dicembre 2010

Esame avvocato 2010: parere sulla seconda traccia

Ecco a voi il parere della seconda traccia. SCORRENDO LA PAGINA DEL SITO TROVERETE TUTTO QUANTO A VOSTRA DISPOSIZIONE PER SUPERARE L'ESAME.
Caio commette nei confronti dei propri genitori un tentativo di estorsione, in quanto minaccia di mettere a soqquadro la casa per ottenere un a somma di denaro per l'acquisto di alcoolici; ai sensi dell'art. 649 cp, il tentativo di delitto di estorsione non è punibile: il comma 3 infatti fa esclusivo riferimento solo alle ipotesi consumate e non a quelle tentate:
Caio, successivamente, s'impossessa di una somma di denaro custodita nel comodino dei genitori ed usa violenza nei confronti del padre, procurandogli lesioni personali dolose che non restano assorbite dalla rapina impropria, per assicurarsi il possesso della cosa; in questo caso, sempre richiamato il comma 3 dell'art. 649, il delitto di rapina impropria consumato è astrattamente punibile in quanto non opera la causa di non punibilità per il delitto di cui all'art. 628;
nel corpo della traccia si legge che i genitori sorgono denuncia, essendosi verificati fatti analoghi in passato: essi sono sicuramente persone offese - e non parti offese- ( la dizione parte offesa non è contemplata nel codice penale e nel codice di procedura penale) per il tentativo di delitto di estorsione e, limitatamente al padre, per il delitto di rapina e di lesioni dolose; tuttavia l'aver sporto denuncia, limiterebbe la procedibilità solo ai delitti procedibili d'ufficio, ma essa non contiene la condizione di procedibilità richiesta per i delitti procedibili a querela, come le lesioni dolose semplici. E tale è da considerarsi la escoriazione la braccio patita dal padre di Caio.
La condotta ascritta al Caio è da considerarsi unisusstistente ed istantanea; tuttavia il riferimento a fatti analoghi accaduti in passato è tale da poter ritenere astarttamente configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia. Questo reato, art 572 cp, come si evince già dal testo dell'articolo laddove si parla di "maltrattamenti", richiede una condotta perdurante, quindi rientra nel novero dei cd delitti abituali.
Caio ha certamente commesso un tentativo di delitto, nella specie un tentativo di estorsione, ai danni dei genitori che non risulta punibile per la speciale causa di esclusione della punibilità in virtù dell'art. 649 cp,;
questa, tuttavia, non opera per l'esclusione contenuta nel comma 3 per il delitto di rapina consumato ai danni del padre; resta invece esclusa la procedibilità per il delitto di lesioni personali dolose semplici, avendo i genitori sporto denuncia e non querela;
residua anche il delitto di maltrattamenti in famiglia, qualora si evidenziasse una pluralità di atti, commissivi o omissivi, anche non costituenti reato, connotati da continuità e ripetitività nel tempo.
Ritenuta la continuazione tra i delitti di cui agli artt. 56, 629, 628, c 2, e 572 cp, ed sclusa la punibilità per il delitto di cui all'art. 56- 629 cp, resta da verificare se Caio sia imputabile o meno per i residui reati di maltrattamenti in famiglia e rapina (impropria).
La condizione di alcoolista di Caio legittima il dubbio sulla capacità d'intendere e di volere dell'agente: questi, infatti, ove ritenuto affetto da cronica intossicazione da alcool sarebbe da considerare o non imputabile o semimputabile: l'art. 95 del cp prevede che per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione da alcool è possibile escludere la capacità d'intendere o di volere o ritenerla grandemente scemata, determinando nel primo caso la non imputabilità per vizio totale di mente, ovvero la non assoggettabilità a pena (salvo il riconoscimento della pericolosità sociale e l'applicazione di misure di sicurezza) e nel secondo caso il vizio parziale di mente, con riduzione della pena (salvo sempre l'applicazione di misure di sicurezza, se l'agente è ritenuto socialmente pericoloso).

Esame avvocato 2010: PARERE PRIMA TRACCIA

Come svolgere la traccia sullo stalking
1) Analizzare il fatto che il reato di cui all'art. 612 bis c.p. e farei la differenza con la minaccia di cui all'art. 612 c.p
2) l' art 612 bis è entrato in vigore con decreto legge nel febbraio 2009.
3)sottolineare che i fatti sono "terminati" (perchè c'è la querela a marzo 2009) nel marzo 2009.
quindi i fatti si verificano a cavallo del periodo suddetto.
pertanto, si pone il problema della successione delle leggi penali nel tempo.
4)parlare del principio di irretroattività delle leggi penali (la legge penale non può retroagire, e se un fatto non è previsto dalla legge come reato nel momento in cui l'ho commesso, non posso essere punita dopo)art. 25 comma II Cost. e art. 2 c.p. ovvero
parere prima traccia:
DA QUI INIZIA IL PARERE
La soluzione del quesito proposto richiede l'analisi del delitto di il delitto di atti persecutori (c.d. "stalking"), di cui all'art. 612-bis c.p..
Si tratta di un reato comune, non essendo richiesta in capo all'agente la sussistenza di una determinata qualifica, introdotto per dal legislatore per incriminare tutti quei comportamenti che determinano nella vittima uno stato di disequilibrio psicologico e, quindi, per tutelare l'incolumità individuale
La condotta tipica, infatti, consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi art. 612, o molesti art. 660cp., tali da determinare nella vittima "un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione sentimentale affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.
Quanto all'elemento soggettivo, viene richiesto il dolo generico e, quindi, è sufficiente che l'agente si rappresenti e voglia anche l'evento, quale conseguenza della sua azione.
Il reato si consuma nel momento in cui si verifica , quale effetto delle reiterate condotte minacciose o moleste, uno o più degli eventi tipici previsti dalla norma.
L'illecito evoca pertanto la figura del reato abituale, pur discostandosi da tale modello per la previsione di un evento tipico.
Tale norma è entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione.
E' quindi, necessario valutare, se gli atti persecutori hanno, iniziati nel novembre 2008, siano terminati prima dell'entrata in vigore della fattispecie delineata, o Tizio abbia continuato a perseguire Caia anche dopo l'entrata dell'art.612-bis.
Nel primo caso, si potrà rassicurare Tizio sulla impossibilità giuridica della nascita di procedimenti penali nei suoi confronti in virtù del principio costituzionale della irretroattività della nuova fattispecie.
Qualora, invece, tizio abbia continuato a molestare Caia, anche dopo l'entrata della normativa occorre vedere se la molestia gli atti successivi siano soltanto uno ovvero abbia commesso più comportamenti.
Nel secondo caso sussisterebbe sicuramente il reato.
Ed, infatti, il termine "reiterare" utilizzato dal legislatore, denota la "ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", e quindi è sufficiente, per la sussistenza del delitto de quo, il compimento di due soli atti di persecuzione.
Qualora, invece, gli atti di persecuzione, siano stai commessi in un unica occasione, sebbene dopo l'entrata della normativa, non sussisterà la reiterazione, quale elemento costitutivo della fattispecie, con la conseguenza che i singoli atti non integreranno il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall'ordinamento (es.: minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.).
La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell'ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e l'altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l'esistenza del reato, ma ciò può dar luogo alla continuazione.
Tuttavia, trattandosi di reato abituale, occorre valutare se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.
Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità.
Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice.
Tutto ciò in quanto, secondo la Giurisprudenza di legittimità il reato abituale si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale con la conseguenza che la nuova normativa è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato.
Alla luce di quanto espresso, la difesa dovrà, in primo luogo vedere se gli atti persecutori commessi prima o dopo l'entrata in vigore dell'art. 612 bis c.p.
Nella prima ipotesi tizio non potrà essere ritenuto responsabile del delitto di atti persecutori stante il principio della irretroattività
Qualora, invece, Tizio abbia commesso atti di molestia anche dopo il 25 febbraio 2009, la linea difensiva dipenderà dal fatto se questi siano stati posti in essere in un'unica occasione o in più occasioni.
Nel secondo caso la difesa avrà pochi margini di azione e, quindi è consigliabile avanzare richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti, il cosiddetto patteggiamento sulla pena ex art .444 c.p.p.
Viceversa, la difesa dovrà sostenere che gli atti posti in essere non possono essere collegati agli atti successivi. Tuttavia, considerato che la Suprema Corte, così come detto sopra, ha affermato il principio opposto è consigliabile avanzare richiesta di giudizio abbreviato per usufruire del beneficio della riduzione di un terzo della pena ex art. 442 c.p.p

Esame avvocato 2010: 2a prova penale svolta

SENT 2010 14914 IN SENSO FAVOREVOLE

SENT 2010 28210 IN SENSO CONTRARIO


Pretesa di denaro dai genitori con maltrattamenti e lesioni, è tentata estorsione
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 19.04.2010 n. 14914
Si configura la fattispecie della tentata estorsione in danno dei genitori qualora il figlio chieda loro del Denaro con il ricorso a maltrattamenti e a lesioni, ovvero "in assenza di condizioni legittimanti la pretesa consegna" della suddetta somma.
È quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza 19 aprile 2010, n. 14914 con la quale i Giudici di legittimità hanno negato la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., ritenendo, di converso, ravvisabile quello ex art. 630 c.p..
Nel caso de quo, il soggetto ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con la quale era stato condannato per i reati di tentata estorsione, maltrattamenti in famiglia e lesioni in danno della madre, ritenendo legittima la sua condotta considerato che, all'epoca dei fatti, privo di lavoro, aveva diritto, per il grado di parentela, ad ottenere un contributo da parte dei genitori.
Tuttavia, il Supremo Collegio, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ritiene corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. 629 c.p.. I giudici di legittimità, pur ammettendo che i genitori debbano sottostare alle disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., per quanto concerne il mantenimento dei figli, sino a quando questi ultimi non abbiano raggiunto una sostanziale indipendenza economica - indipendentemente o meno dalla maggiore età - ritengono che nel caso di specie la richiesta di denaro sia avvenuta con "modalità violente" accertate; inoltre, "non risulta affatto la prova che le somme fossero destinate al mantenimento dell'imputato". Quindi non vi è prova circa la corrispondenza causale tra la richiesta di denaro e l'esercizio di un diritto dell'imputato quale il mantenimento per mezzo dell'ausilio dei genitori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il "difetto di tale essenziale connotazione causale dell'agire del ricorrente" non può che far propendere per "l'azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione".
Delitto di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: brevi spunti di riflessione
Un aspetto particolarmente interessante del delitto di cui all'art. 629 c.p. consiste nel suo rapporto con l'altro delitto preso in considerazione dalla sentenza in commento, ovvero l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Da sempre la giurisprudenza si è preoccupata di individuare gli elementi differenziali di queste due fattispecie, opinando, in maniera oramai consolidata, per un criterio di carattere soggettivo.
Invero, merita accoglimento l'impostazione ermeneutica che distingue i due reati sotto il profilo dell'elemento soggettivo, che per l'estorsione si configura nel fine di conseguire un profitto, nella consapevolezza di non averne alcun diritto o titolo; nel secondo si ha la ragionevole opinione - pur errata - della sussistenza di esso.
Orbene, si configurerà correttamente l'ipotesi punitiva di cui all'art. 393 c.p. ove il soggetto agisca nella "convinzione ragionevole della legittimità delle propria pretesa", nonché "che quanto egli vuole gli compete" (V., ex multis, Cass., Sez. II, 15.06.04, n. 26887). Pertanto, ciò che rileva ai fini discretivi, non è tanto la condotta materiale posta in essere - che può essere addirittura identica nei due casi - quanto l'elemento intenzionale che solo nella estorsione è caratterizzato dalla consapevolezza che quanto il reo pretenda non gli è in alcun modo dovuto. Tuttavia, accanto a questo filone interpretativo, si può rinvenire un costante orientamento giurisprudenziale - cui sembra conformarsi la sentenza in esame - secondo il quale la finalità estorsiva della condotta posta in essere potrebbe di per sé rinvenirsi nella stessa modalità costrittiva. Aderendo a tale impostazione, quindi, si sostiene che se la minaccia o la violenza si manifestano in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio preteso diritto, allora la coartazione non può che integrare i caratteri dell'ingiustizia e l'ipotesi concreta quelli dell'art. 629 c.p. (V., tra le altre, Cass., Sez. II, 10.12.04, n. 47972).
Ciò trova conferma nella circostanza che, secondo costanti interventi della Suprema Corte, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa deve essere proporzionale e strettamente connessa con la pretesa di un diritto; agendo diversamente si avrebbe, infatti, un utilizzo gratuito ed, appunto, sproporzionato della forza, tale da imporre un annullamento o una limitazione della capacità di autodeterminazione della volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. II, 26.09.07, n. 35610).

Esame avvocato 2010: la traccia sullo stalking svolta

tratto da ALTALEX
http://www.altalex.com/index.php?idnot=10792
(nota di Placido Panarello)

....In proposito è utile ricordare come la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. sia entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Con la legge n. 38 del 23 aprile 2009, il Parlamento ha poi convertito con modificazioni il d.l. 11/2009. Si osserva, infatti, come uno dei profili problematici, soprattutto nella prima fase di applicazione della norma, riguardi l'irretroattività della nuova fattispecie. Si pensi, come nel caso in esame, all'ipotesi in cui le condotte persecutorie commesse in epoca successiva all'entrata in vigore del decreto legge si vadano ad aggiungere ad altre realizzate precedentemente.

....Sebbene evocata nei motivi di ricorso, con la sentenza n. 6417/2010 la Suprema Corte non ha tuttavia affrontato l'altra delicata questione, quella riguardante il divieto di retroattività della norma incriminatrice.

Trattandosi di reato abituale, infatti, viene da chiedersi se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.

In dottrina, l'orientamento prevalente[6] ritiene che nel caso di successione di norma creatrice di una nuova tipologia di illecito abituale potranno essere ricondotte entro la nuova disciplina solo le fattispecie concrete realizzate sotto la sua vigenza, se complete sotto il profilo costitutivo, senza possibilità di cumulo con le condotte anteriori, salvo incorrere, diversamente, nell'applicazione retroattiva della norma creatrice del reato abituale. Ma tale orientamento sembra riferirsi al c.d. reato abituale proprio, laddove la norma di nuova creazione considera reato la reiterazione di condotte che, se isolatamente valutate, possono anche non avere rilevanza penale[7]. Nel caso del delitto di atti persecutori, invece, l'art. 612-bis c.p. considera reato condotte che generalmente costituirebbero, anche se isolatamente valutate, illecito penale (minaccia, molestia, ingiuria, violenza privata, ecc.).

Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità e, pertanto, la pronuncia in esame avrebbe potuto costituire una buona occasione. Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice[8]. Ancora, occupandosi del reato previsto dall'art. 9, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, consistente nella condotta di colui che venga sorpreso in compagnia di pregiudicati, la Corte di Cassazione[9], sulla premessa che il reato in questione si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale di frequentazione, ha stabilito che la modifica apportata all'art. 9 dalla l. 31 luglio 2005, n. 155 (che ha trasformato la contravvenzione in delitto) è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato[10].

Esame avvocato 2010: commenti alle sentenze di diritto penale

Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice.

Cosi hanno affermato i giudici della Suprema Corte con la sentenza 21 gennaio 2010, n. 6417 (depositata il 17 febbraio 2010), con una delle prime pronunce di legittimità riguardanti il delitto di atti persecutori (c.d. "stalking"), ex art. 612-bis c.p.

Nel caso di specie il GIP rigettava l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari presentata dall'indagato.

A seguito di appello ex art. 310 c.p.p., il tribunale del riesame confermava il provvedimento di rigetto emesso dal GIP, evidenziando come l'indagato si fosse reso autore non solo di vari reati (minacce, violenza privata e danneggiamento) commessi in epoca compresa fra il 2 gennaio ed il 21 febbraio 2009, ma anche di ulteriori condotte poste in essere nei giorni 25 e 26 febbraio 2009.

In proposito è utile ricordare come la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. sia entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Con la legge n. 38 del 23 aprile 2009, il Parlamento ha poi convertito con modificazioni il d.l. 11/2009. Si osserva, infatti, come uno dei profili problematici, soprattutto nella prima fase di applicazione della norma, riguardi l'irretroattività della nuova fattispecie. Si pensi, come nel caso in esame, all'ipotesi in cui le condotte persecutorie commesse in epoca successiva all'entrata in vigore del decreto legge si vadano ad aggiungere ad altre realizzate precedentemente.

Un altro degli aspetti che caratterizza l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. consiste nella reiterazione delle condotte persecutorie. Le minacce e/o le molestie devono essere reiterate, seriali, devono cioè succedersi nel tempo. La reiterazione è, infatti, elemento costitutivo della fattispecie[1], con la conseguenza che i singoli atti, se posti in essere in un unica occasione, non integrano il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall'ordinamento (es.: minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.). La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell'ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e l'altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l'esistenza del reato, ma ciò può dar luogo alla continuazione.

In relazione al reato necessariamente abituale la mancata indicazione del numero di episodi necessario per integrare la serie minima può comportare qualche tensione con il principio di determinatezza.

Ciò premesso, si osserva come, nel caso di specie, il difensore dell'indagato abbia proposto ricorso per cassazione basando i motivi proprio sulle due questioni poco sopra richiamate: assumeva, infatti, che gli episodi precedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice non potevano essere presi in alcuna considerazione, con la conseguenza che le due sole condotte del 25 e 26 febbraio 2009 non erano suscettibili di integrare il delitto di atti persecutori, data la natura abituale dello stesso. Sotto diverso profilo, quello dell'adeguatezza della misura, il difensore evidenziava altresì che le esigenze cautelari avrebbero potuto essere soddisfatte con la più lieve misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, introdotta dall'art. 282-ter c.p.p..

La Suprema Corte, osservando come il termine "reiterare" denoti la "ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", rigettava il ricorso presentato dal difensore dell'indagato ed enunciava il principio di diritto in base al quale anche due sole condotte di minaccia o di molestia sono idonee a costituire la reiterazione cui l'art. 612-bis c.p. subordina la configurazione della materialità del fatto.

In sede di commento a prima lettura del reato di nuovo conio, all'indomani della sua entrata in vigore ed in attesa delle prime pronunce di legittimità, si era sostenuto[3] che il numero minimo di condotte richieste per l'integrazione della materialità del fatto avrebbe dovuto essere individuato, nell'ambito della discrezionalità del giudice, anche sulla base della capacità della condotta persecutoria di ingenerare gli eventi previsti dalla norma. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità, in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di cui all'art. 572 c.p., aveva talvolta portato l'interprete ad interrogarsi sul concetto stesso di reato necessariamente abituale[4]. La Suprema Corte, inoltre, per tracciare la linea di confine fra la configurazione di ripetuti atti lesivi all'interno di un contesto familiare ed il delitto abituale di maltrattamenti in famiglia, anche recentemente[5] aveva posto l'accento sull'elemento psicologico, giungendo ad escludere la sussistenza del requisito della abitualità sulla base del rilievo secondo cui i singoli atti lesivi avevano rappresentato forme espressive di reazioni determinate da tensioni contingenti, anche se non infrequenti, nel contesto familiare in questione. Tali atti, infatti, non erano risultati tra loro connessi e cementati dalla volontà unitaria e persistente dell'agente di sottoporre i soggetti passivi ad ingiuste sofferenze morali o fisiche, sì da rendere abitualmente doloroso il rapporto relazionale.

Nella pronuncia oggetto del presente commento, invece, i giudici di legittimità hanno basato la loro decisione esclusivamente sul significato letterale del termine "reiterare", evidenziando come lo stesso denoti "la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", con la conseguenza che anche due sole condotte sono da ritenere sufficienti a concretare il requisito della reiterazione richiesto dalla norma.

Anche la censura mossa dal difensore in punto di adeguatezza della misura cautelare è stata ritenuta infondata dalla Corte, che ha sottolineato come l'impugnata motivazione del tribunale del riesame, quale giudice dell'appello cautelare, fosse ineccepibile e diffusa, posto che nella stessa risultano evidenziati i numerosi e gravi precedenti penali dell'indagato, che ne rivelano la capacità a delinquere e la tendenza all'uso della violenza.

Sebbene evocata nei motivi di ricorso, con la sentenza n. 6417/2010 la Suprema Corte non ha tuttavia affrontato l'altra delicata questione, quella riguardante il divieto di retroattività della norma incriminatrice.

Trattandosi di reato abituale, infatti, viene da chiedersi se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.

In dottrina, l'orientamento prevalente[6] ritiene che nel caso di successione di norma creatrice di una nuova tipologia di illecito abituale potranno essere ricondotte entro la nuova disciplina solo le fattispecie concrete realizzate sotto la sua vigenza, se complete sotto il profilo costitutivo, senza possibilità di cumulo con le condotte anteriori, salvo incorrere, diversamente, nell'applicazione retroattiva della norma creatrice del reato abituale. Ma tale orientamento sembra riferirsi al c.d. reato abituale proprio, laddove la norma di nuova creazione considera reato la reiterazione di condotte che, se isolatamente valutate, possono anche non avere rilevanza penale[7]. Nel caso del delitto di atti persecutori, invece, l'art. 612-bis c.p. considera reato condotte che generalmente costituirebbero, anche se isolatamente valutate, illecito penale (minaccia, molestia, ingiuria, violenza privata, ecc.).

Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità e, pertanto, la pronuncia in esame avrebbe potuto costituire una buona occasione. Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice[8]. Ancora, occupandosi del reato previsto dall'art. 9, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, consistente nella condotta di colui che venga sorpreso in compagnia di pregiudicati, la Corte di Cassazione[9], sulla premessa che il reato in questione si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale di frequentazione, ha stabilito che la modifica apportata all'art. 9 dalla l. 31 luglio 2005, n. 155 (che ha trasformato la contravvenzione in delitto) è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato[10].

Qualche pronuncia di merito, emessa in sede cautelare (tribunale Pistoia, n. 2651/09 RG GIP, inedita; tribunale Pistoia, n. 607/08 RG DIB, inedita), si è orientata nel qualificare sotto l'art. 612-bis c.p. anche condotte "persecutorie" realizzate sia prima che dopo l'entrata in vigore della stessa, non ravvisando contrasti con il divieto di irretroattività della nuova fattispecie, sostanzialmente sulla base dell'assunto secondo cui essa, in quanto reato abituale, è da ritenersi applicabile anche se solo una parte della condotta sia stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della norma meno favorevole.

Esame avvocato 2010: svolgimento 1a traccia penale

allora sulla prima ho trovato questo che potrebbe essere utile per lo svolgimento

Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice.

Cosi hanno affermato i giudici della Suprema Corte con la sentenza 21 gennaio 2010, n. 6417 (depositata il 17 febbraio 2010), con una delle prime pronunce di legittimità riguardanti il delitto di atti persecutori (c.d. "stalking"), ex art. 612-bis c.p.

Nel caso di specie il GIP rigettava l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari presentata dall'indagato.

A seguito di appello ex art. 310 c.p.p., il tribunale del riesame confermava il provvedimento di rigetto emesso dal GIP, evidenziando come l'indagato si fosse reso autore non solo di vari reati (minacce, violenza privata e danneggiamento) commessi in epoca compresa fra il 2 gennaio ed il 21 febbraio 2009, ma anche di ulteriori condotte poste in essere nei giorni 25 e 26 febbraio 2009.

In proposito è utile ricordare come la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. sia entrata in vigore proprio il 25 febbraio 2009, essendo stata introdotta nel nostro ordinamento con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio ed entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Con la legge n. 38 del 23 aprile 2009, il Parlamento ha poi convertito con modificazioni il d.l. 11/2009. Si osserva, infatti, come uno dei profili problematici, soprattutto nella prima fase di applicazione della norma, riguardi l'irretroattività della nuova fattispecie. Si pensi, come nel caso in esame, all'ipotesi in cui le condotte persecutorie commesse in epoca successiva all'entrata in vigore del decreto legge si vadano ad aggiungere ad altre realizzate precedentemente.

Un altro degli aspetti che caratterizza l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. consiste nella reiterazione delle condotte persecutorie. Le minacce e/o le molestie devono essere reiterate, seriali, devono cioè succedersi nel tempo. La reiterazione è, infatti, elemento costitutivo della fattispecie[1], con la conseguenza che i singoli atti, se posti in essere in un unica occasione, non integrano il delitto di atti persecutori bensì altre fattispecie già conosciute dall'ordinamento (es.: minaccia, molestie, violenza privata), eventualmente unite dal vincolo della continuazione (art. 81 c.p.). La struttura del reato di atti persecutori è quindi disegnata sul modello del reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti commissivi. Il reato si perfeziona allorché si realizzi un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione, ex art. 81 cpv. c.p., come nell'ipotesi in cui la reiterazione sia interrotta da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra[2]. Pertanto, se nel periodo considerato si verifica una parentesi di normalità nella condotta del soggetto attivo, un intervallo di tempo fra una serie e l'altra di episodi lesivi del bene giuridico tutelato dalla norma, non viene meno l'esistenza del reato, ma ciò può dar luogo alla continuazione.

In relazione al reato necessariamente abituale la mancata indicazione del numero di episodi necessario per integrare la serie minima può comportare qualche tensione con il principio di determinatezza.

Ciò premesso, si osserva come, nel caso di specie, il difensore dell'indagato abbia proposto ricorso per cassazione basando i motivi proprio sulle due questioni poco sopra richiamate: assumeva, infatti, che gli episodi precedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice non potevano essere presi in alcuna considerazione, con la conseguenza che le due sole condotte del 25 e 26 febbraio 2009 non erano suscettibili di integrare il delitto di atti persecutori, data la natura abituale dello stesso. Sotto diverso profilo, quello dell'adeguatezza della misura, il difensore evidenziava altresì che le esigenze cautelari avrebbero potuto essere soddisfatte con la più lieve misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, introdotta dall'art. 282-ter c.p.p..

La Suprema Corte, osservando come il termine "reiterare" denoti la "ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", rigettava il ricorso presentato dal difensore dell'indagato ed enunciava il principio di diritto in base al quale anche due sole condotte di minaccia o di molestia sono idonee a costituire la reiterazione cui l'art. 612-bis c.p. subordina la configurazione della materialità del fatto.

In sede di commento a prima lettura del reato di nuovo conio, all'indomani della sua entrata in vigore ed in attesa delle prime pronunce di legittimità, si era sostenuto[3] che il numero minimo di condotte richieste per l'integrazione della materialità del fatto avrebbe dovuto essere individuato, nell'ambito della discrezionalità del giudice, anche sulla base della capacità della condotta persecutoria di ingenerare gli eventi previsti dalla norma. Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità, in relazione al delitto di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di cui all'art. 572 c.p., aveva talvolta portato l'interprete ad interrogarsi sul concetto stesso di reato necessariamente abituale[4]. La Suprema Corte, inoltre, per tracciare la linea di confine fra la configurazione di ripetuti atti lesivi all'interno di un contesto familiare ed il delitto abituale di maltrattamenti in famiglia, anche recentemente[5] aveva posto l'accento sull'elemento psicologico, giungendo ad escludere la sussistenza del requisito della abitualità sulla base del rilievo secondo cui i singoli atti lesivi avevano rappresentato forme espressive di reazioni determinate da tensioni contingenti, anche se non infrequenti, nel contesto familiare in questione. Tali atti, infatti, non erano risultati tra loro connessi e cementati dalla volontà unitaria e persistente dell'agente di sottoporre i soggetti passivi ad ingiuste sofferenze morali o fisiche, sì da rendere abitualmente doloroso il rapporto relazionale.

Nella pronuncia oggetto del presente commento, invece, i giudici di legittimità hanno basato la loro decisione esclusivamente sul significato letterale del termine "reiterare", evidenziando come lo stesso denoti "la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza", con la conseguenza che anche due sole condotte sono da ritenere sufficienti a concretare il requisito della reiterazione richiesto dalla norma.

Anche la censura mossa dal difensore in punto di adeguatezza della misura cautelare è stata ritenuta infondata dalla Corte, che ha sottolineato come l'impugnata motivazione del tribunale del riesame, quale giudice dell'appello cautelare, fosse ineccepibile e diffusa, posto che nella stessa risultano evidenziati i numerosi e gravi precedenti penali dell'indagato, che ne rivelano la capacità a delinquere e la tendenza all'uso della violenza.

Sebbene evocata nei motivi di ricorso, con la sentenza n. 6417/2010 la Suprema Corte non ha tuttavia affrontato l'altra delicata questione, quella riguardante il divieto di retroattività della norma incriminatrice.

Trattandosi di reato abituale, infatti, viene da chiedersi se le condotte antecedenti l'entrata in vigore del d.l. 11/2009 possano essere prese in considerazione ed utilizzate per ritenere sussistente il reato all'atto della realizzazione dell'ultima condotta.

In dottrina, l'orientamento prevalente[6] ritiene che nel caso di successione di norma creatrice di una nuova tipologia di illecito abituale potranno essere ricondotte entro la nuova disciplina solo le fattispecie concrete realizzate sotto la sua vigenza, se complete sotto il profilo costitutivo, senza possibilità di cumulo con le condotte anteriori, salvo incorrere, diversamente, nell'applicazione retroattiva della norma creatrice del reato abituale. Ma tale orientamento sembra riferirsi al c.d. reato abituale proprio, laddove la norma di nuova creazione considera reato la reiterazione di condotte che, se isolatamente valutate, possono anche non avere rilevanza penale[7]. Nel caso del delitto di atti persecutori, invece, l'art. 612-bis c.p. considera reato condotte che generalmente costituirebbero, anche se isolatamente valutate, illecito penale (minaccia, molestia, ingiuria, violenza privata, ecc.).

Sul punto, con riguardo a reati abituali, non si registrano specifiche posizioni della giurisprudenza di legittimità e, pertanto, la pronuncia in esame avrebbe potuto costituire una buona occasione. Si può tuttavia osservare che, con riferimento a reati a consumazione prolungata (come, ad esempio, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p.), la Suprema Corte ha valorizzato condotte antecedenti l'entrata in vigore della norma incriminatrice[8]. Ancora, occupandosi del reato previsto dall'art. 9, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, consistente nella condotta di colui che venga sorpreso in compagnia di pregiudicati, la Corte di Cassazione[9], sulla premessa che il reato in questione si consuma nel momento in cui cessa la condotta abituale di frequentazione, ha stabilito che la modifica apportata all'art. 9 dalla l. 31 luglio 2005, n. 155 (che ha trasformato la contravvenzione in delitto) è applicabile anche se solo una parte della condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della legge più sfavorevole, in quanto l'art. 2 c. 4 c.p. fa riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e cioè a quello in cui si è consumato[10].

Qualche pronuncia di merito, emessa in sede cautelare (tribunale Pistoia, n. 2651/09 RG GIP, inedita; tribunale Pistoia, n. 607/08 RG DIB, inedita), si è orientata nel qualificare sotto l'art. 612-bis c.p. anche condotte "persecutorie" realizzate sia prima che dopo l'entrata in vigore della stessa, non ravvisando contrasti con il divieto di irretroattività della nuova fattispecie, sostanzialmente sulla base dell'assunto secondo cui essa, in quanto reato abituale, è da ritenersi applicabile anche se solo una parte della condotta sia stata posta in essere dopo l'entrata in vigore della norma meno favorevole.

Esame avvocato 2010: 2a traccia penale

TRACCIA 2

Caio, alcolista, al fine di procurarsi denaro, per l'acquisto di vino e liquori, minacciava la madre Media ed il padre Tizio di mettere a soqquadro la casa al fine di farsi consegnare il denaro.

Nonostante il diniego dei genitori, riusciva ad impossessarsi di euro
200,00, denaro contenuto nel cassetto del comodino della camera da letto dei genitori.

Quindi, al fine di uscire di casa con il denaro, vincendo l'opposizione del padre, si scagliava contro quest'ultimo facendolo cadere a terra e procurandogli delle escoriazioni ad un braccio.

La madre Media non assisteva all'aggressione perché, affranta per la situazione si era ritirata nella cucina.

I genitori, esasperati per la situazione, essendosi fatti analoghi
ripetuti anche in passato, sporgevano denuncia nei confronti del
figlio.

Il candidato, assunte le vesti di legale di Caio, rediga motivato
parere, analizzando la fattispecie configurabile nel caso esposto, con particolare riguardo alla individuazione delle parti offese ed alle conseguenze sanzionatorie.

Esame avvocato 2010: 1a traccia penale

PRIMA TRACCIA
Tizio fidanzato di caia, non accettando la fine della relazione sentimentale decisa dalla donna, e desideroso di continuare ad incontrarla,iniziava a seguirne sistematicamente gli spostamenti quando caia usciva x andare al lavoro ovvero per attendere alle ordinarie attività quotidiane.
lungo la strada la molestava cercando di fermarla e di parlarle,dicendole che non intendeva allontanarsi da lei
iniziava altresì a farle continue telefonate, anche notturne, ed ad inviarle sms telefonici contenenti generiche minacce di danno alle cose, finalizzate ad ottenere una ripresa della frequentazione tra i due.
le condotte moleste e persecutorie avevano inizio nel novembre 2008.

Caia, esasperata per la situazione, dapprima cambiava alcune delle proprie abitudini di vita per sottrarsi agli incontri con tizio;
poi alla metà del mese di marzo 2009 decideva di sporgere querela contro tizio.
tizio decideva quindi di recarsi da un avvocato per conoscere le possibili conseguenze della propria condotta
il candidato assunte le vesti del legale di tizio, rediga motivato parere illustrando la xxx fattispecie configurabili nel caso di specie con particolare riguardo alla tematica della successione delle leggi penali nel tempo e agli istituti del reato abituale e continuato.

martedì 14 dicembre 2010

Svolgimento 1° Traccia Esame di avvocato 2010

Il contratto di prestazione d'opera intellettuale è disciplinato dagli artt. 2230 e ss. C.c. Trattasi di un tipico contratto sinallagmatico nel quale il professionista si impegna a rendere la propria attività nei limiti dell'oggetto della prestazione richiesta, mentre il cliente assume l'obbligo di provvedere al pagamento del giusto compenso.
Quanto alla prestazione del professionista è opportuno evidenziare come la stessa si differenzia rispetto alle altre prestazioni d'opera per il suo carattere marcatamente intellettuale. La disciplina codicistica consente al prestatore d'opera di svolgere la propria attività in favore del cliente, con ampia discrezionalità nella scelta delle modalità di esecuzione, e cioè con ampia facoltà di selezionare, tra le possibili soluzioni previste dalla scienza e dall'arte della singola professione, quella più confacente per la realizzazione degli interessi del cliente. Ovviamente quest'ultimo potrà dare indicazioni in ordine all'incarico conferito, le quali andranno osservate solo se compatibili con la visione tecnica del problema. Anche in tale ottica va inquadrata la norma contenuta nel secondo comma dell' art 2237 c.c.: è evidente infatti che, laddove si verifichino delle divergenze insormontabili in ordine alla conduzione dell'incarico, il professionista potrà recedere per giusta causa e pretendere dal cliente il rimborso delle spese sopportate e, qualora vi sia stata utilità per l'assistito, anche il giusto compenso per l'opera svolta.

E proprio sul concetto di "giusta causa" s'incentra il caso oggi prospettato: occorre cioè stabilire se la decisione della società beta di affiancare al commercialista inizialmente incaricato un avvocato esperto in materia fiscale, possa o meno costituire motivo di recesso per giusta causa da parte del primo. Orbene, com'è noto il rapporto su cui si basa il contratto d'opera professionale è essenzialmente di carattere fiduciario; nel momento in cui vien meno tale essenziale presupposto, cessano anche le condizioni per la proficua prosecuzione del rapporto. La volontà espressa dalla Società Beta nella missiva inoltrata al proprio commercialista va quindi interpretata al fine di appurare se la stessa integri perdita di fiducia nelle capacità professionali di quest'ultimo. In tale ottica bisogna ricordare che trattasi di una vertenza particolarmente complessa; pertanto alla Società Beta deve essere riconosciuta la facoltà di farsi assistere in giudizio, oltre cha da un esperto in materia tributaria, quale senz'altro è un commercialista, anche di un avvocato fiscalista; e ciò in considerazione delle diverse e non sovrapponibili competenze di ciascuno di loro. Il tutto al fine di far valere più compiutamente le proprie ragioni nel giudizio promosso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. In tale ottica non v'è dubbio che la committente, lungi dal voler manifestare perplessità in ordine al lavoro ed alle capacità del Dr. Tizio, ha esercitato un suo sacrosanto diritto, senza peraltro muovere alcun appunto sull'operato di costui.

Pertanto nel caso di specie non ricorre il presupposto della "giusta causa" sancito all'art. 2237, secondo comma, c.c.; conseguentemente il recesso esercitato dal commercialista deve essere ritenuto del tutto arbitrario. La Società Beta potrà quindi legittimamente rifiutarsi di corrispondere al dr. Tizio le spese e le competenze per l'attività svolta, oltre che contestare decisamente la sua infondata pretesa risarcitoria (cfr. Corte App. Milano 24.9.2008).
Per contro, stante l'arbitrarietà del recesso esercitato dal professionista, è evidente che qualora lo stesso abbia comportato pregiudizio alla committente, sarà semmai quest'ultima ad avere il diritto di agire nei confronti del primo al fine di ottenere il risarcimento dell'eventuale danno subito, chiaro essendo il dettato di cui al terzo comma dell'art. 2237 c.c..