mercoledì 15 dicembre 2010

Esame avvocato 2010: 2a prova penale svolta

SENT 2010 14914 IN SENSO FAVOREVOLE

SENT 2010 28210 IN SENSO CONTRARIO


Pretesa di denaro dai genitori con maltrattamenti e lesioni, è tentata estorsione
Cassazione penale, sez. VI, sentenza 19.04.2010 n. 14914
Si configura la fattispecie della tentata estorsione in danno dei genitori qualora il figlio chieda loro del Denaro con il ricorso a maltrattamenti e a lesioni, ovvero "in assenza di condizioni legittimanti la pretesa consegna" della suddetta somma.
È quanto ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza 19 aprile 2010, n. 14914 con la quale i Giudici di legittimità hanno negato la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., ritenendo, di converso, ravvisabile quello ex art. 630 c.p..
Nel caso de quo, il soggetto ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello con la quale era stato condannato per i reati di tentata estorsione, maltrattamenti in famiglia e lesioni in danno della madre, ritenendo legittima la sua condotta considerato che, all'epoca dei fatti, privo di lavoro, aveva diritto, per il grado di parentela, ad ottenere un contributo da parte dei genitori.
Tuttavia, il Supremo Collegio, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, ritiene corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. 629 c.p.. I giudici di legittimità, pur ammettendo che i genitori debbano sottostare alle disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., per quanto concerne il mantenimento dei figli, sino a quando questi ultimi non abbiano raggiunto una sostanziale indipendenza economica - indipendentemente o meno dalla maggiore età - ritengono che nel caso di specie la richiesta di denaro sia avvenuta con "modalità violente" accertate; inoltre, "non risulta affatto la prova che le somme fossero destinate al mantenimento dell'imputato". Quindi non vi è prova circa la corrispondenza causale tra la richiesta di denaro e l'esercizio di un diritto dell'imputato quale il mantenimento per mezzo dell'ausilio dei genitori.
Secondo la Corte di Cassazione, quindi, il "difetto di tale essenziale connotazione causale dell'agire del ricorrente" non può che far propendere per "l'azione esecutiva e la soggettività del delitto di estorsione".
Delitto di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: brevi spunti di riflessione
Un aspetto particolarmente interessante del delitto di cui all'art. 629 c.p. consiste nel suo rapporto con l'altro delitto preso in considerazione dalla sentenza in commento, ovvero l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Da sempre la giurisprudenza si è preoccupata di individuare gli elementi differenziali di queste due fattispecie, opinando, in maniera oramai consolidata, per un criterio di carattere soggettivo.
Invero, merita accoglimento l'impostazione ermeneutica che distingue i due reati sotto il profilo dell'elemento soggettivo, che per l'estorsione si configura nel fine di conseguire un profitto, nella consapevolezza di non averne alcun diritto o titolo; nel secondo si ha la ragionevole opinione - pur errata - della sussistenza di esso.
Orbene, si configurerà correttamente l'ipotesi punitiva di cui all'art. 393 c.p. ove il soggetto agisca nella "convinzione ragionevole della legittimità delle propria pretesa", nonché "che quanto egli vuole gli compete" (V., ex multis, Cass., Sez. II, 15.06.04, n. 26887). Pertanto, ciò che rileva ai fini discretivi, non è tanto la condotta materiale posta in essere - che può essere addirittura identica nei due casi - quanto l'elemento intenzionale che solo nella estorsione è caratterizzato dalla consapevolezza che quanto il reo pretenda non gli è in alcun modo dovuto. Tuttavia, accanto a questo filone interpretativo, si può rinvenire un costante orientamento giurisprudenziale - cui sembra conformarsi la sentenza in esame - secondo il quale la finalità estorsiva della condotta posta in essere potrebbe di per sé rinvenirsi nella stessa modalità costrittiva. Aderendo a tale impostazione, quindi, si sostiene che se la minaccia o la violenza si manifestano in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio preteso diritto, allora la coartazione non può che integrare i caratteri dell'ingiustizia e l'ipotesi concreta quelli dell'art. 629 c.p. (V., tra le altre, Cass., Sez. II, 10.12.04, n. 47972).
Ciò trova conferma nella circostanza che, secondo costanti interventi della Suprema Corte, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa deve essere proporzionale e strettamente connessa con la pretesa di un diritto; agendo diversamente si avrebbe, infatti, un utilizzo gratuito ed, appunto, sproporzionato della forza, tale da imporre un annullamento o una limitazione della capacità di autodeterminazione della volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. II, 26.09.07, n. 35610).

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma i pareri??

Posta un commento